CORREVA L'ANNO 1979:
INTERVISTA A PIER CARLO BARGONI DI RADIO REGIONEQuella di Charlie, ovvero
Pier Carlo Bàrgoni di Bargone, è una delle più apprezzate e seguite voci notturne milanesi. Il suo nome è stato citato anche in occasione del « Premio Venezia », manifestazione tenutasi a fine Ottobre, in occasione della premiazione di una trasmissione prodotta da Radio Regione, alla quale hanno partecipato, oltre a Charlie, Mario Luzzatto Fegiz e Maurizio Micheli.
Che definizione daresti alla trasmissione « Goduria in due sull'aereo »?È una trasmissione di tutto relax, di varietà. Non la ritengo eccezionale. Divertente, questo sì. È stata una cosa fatta così, per divertimento, molto goliardica.
Da chi è nata l'idea?Da Fegiz, che ha iniziato imitando la voce del oilota che annunciava un volo, lo e Micheli lo abbiamo seguito, grazie alla forma di affiatamento che esiste fra di noi e dando fondo a tutto quello che abbiamo acquisito in trent'anni di cinematografia americana, della quale sono presenti tutte le situazioni classiche e stereotipate.
Ascoltandoti ci si chiede se ti interessa creare una forma di comunicazione fra te e gli ascoltatori, oppure semplicemente proponi te stesso, senza preoccuparti di accaparrarti simpatie.A me non piace mendicare la telefonata come fa moltissima gente alla radio, o mettere gli ascoltatori in condizione di sentirsi obbligati a partecipare. Mi fa molto piacere se la gente interviene, perché così si istaura un sia pur modesto rapporto di comunicazione, lo vado in radio, faccio il mio lavoro e chi mi ascolta può scegiere tra l'intervento e l'ascolto. . Questo non deve essere considerato come una forma di presunzione da parte mia o un mancato bisogno di rapporti con la gente, lo sono ben contento di parlare con tutti di tutto. Però spio se gli altri lo desiderano.
Come e perché hai iniziato a fare radio?Quattro anni fa, dopo varie attività sempre attinenti al mondo dello spettacolo che io amo e odio contemporaneamente, ho inviato dei testi alla radio svizzera. Si trattava di un'offerta di collaborazione scritta e, invece, sono stato convocato per un provino. Ho così iniziato, senza averne l'intenzione, a fare il presentatore, cosa che non avevo mai fatto in vita mia. Due anni fa, quando ho lasciato la Svizzera, un amico mi fece conoscere Fegiz che stava mettendo in piedi una radio e mi ha chiesto di collaborare. Fu così che iniziammo quella bella, sciagurata e indimenticabile avventura che si chiamò Radio Milano Centrale e, successivamente Radio Regione.
La musica che tu proponi è indubbiamente di buon gusto, ma mai attuale. Perché?Due anni fa le poche emittenti che esistevano trasmettevano un certo tipo di musica. Nessuno, allora come oggi, proponeva quel genere che potrebbe essere definito « classico-leggero ». Io lo gradisco, lo preferisco agli altri e ritengo che possa essere apprezzato da un pubblico estremamente vasto ed eterogeneo. È una musica che evoca, sollecita, stimola, titilla i sentimenti che sono presenti in tutti gli esseri umani. Per quanto riguarda il resto della musica sono un incompetente. Ti confesso che l'avverto molto poco. Per esempio, la disco-music non mi dice niente, lo credo nel classico che dura nel tempo.
In che misura hai guadagnato con il tuo lavoro?Non ci sono stati guadagni di natura economica, se non schiocchezze con le quali è assolutamente impossibile sopravvivere. Ci sono stati dei guadagni sul piano umano, come la possibilità di incontrare dei personaggi che altrimenti non si sarebbero mai potuti incontrare in una città tremenda come Milano. C'è stata la possibilità di comunicare con la gente. Ho visto e vissuto anche situazioni spaventose. Mi riferisco alle condizioni in cui coloro che dirigono le radio private mettono i loro collaboratori. E con questo mi riferisco anche a Radio Popolare. lo potrei capire, al limite, che uno non venisse pagato perché non ci sono mezzi, che lo facesse per amore del mezzo, per credo politico, però, quantomeno, si deve offrire a una persona che lavora un mezzo valido con cui si possa esprimere. Ci sono delle apparecchiature tecniche scadenti, guaste e nessuno si preoccupa per la loro riparazione. Il microfono frusciante è per molti un fatto secondario, rispetto all'idea politica che viene espressa e invece è un fatto primario.
Di che tipo è il pubblico che ti segue?Estremamente vario, come quello di tutti, suppongo, lo ritengo che sia non solo un errore ma anche un atteggiamento molto controproducente rivolgersi a un settore di pubblico definito.
Come ritieni sia il livello delle radio private oggi?lo le ascolto pochissimo, anche se ti può sembrare assurdo per una persona che pratica il mezzo. Per il poco che ho sentito, il livello, a distanza di due anni dall'inizio, è assolutamente inqualificabile. Siamo ancora, secondo me, ben lontani da quella che io considero professionalità: da quello che è un rigore di azione. I miei colleghi, tra virgolette, ancora oggi credono che, siccome parlano con tutti, si possa con la stessa facilità e con la stessa leggerezza parlare di fronte a un microfono, non tenendo presente che invece questa è una situazione estremamente difficile. Si tratta del mestiere più difficile del mondo, perché fare una radio come l'abbiamo fatta noi, partendo da Milano Centrale, è come volare in mezzo alle nubi: un volo cieco. Anche facendo delle congetture con tutta la professionalità possibile, inevitabilmente si sbaglia sempre, perché ci sarà sempre qualcuno al quale non andrà bene quello che stai facendo. È un mestiere per il quale bisogna tutto dare e poco si riceve. Come diceva Marcello Marchesi in una sua frase, l'Italia è un Paese in cui va incoraggiato lo scoraggiamento.
Come spieghi la sopravvivenza delle radio di disimpegno?Chi ti dice che siano ascoltate?
Esistono e trasmettono regolarmente.Carlo Cego, ottimo pittore e cari amico, ha sempre detto che non è l'India il Paese del mistero, ma l'Italia.
Pensi che ci sarà un'eliminazione naturale di queste emittenti?Senza dubbio. Stiamo rovinando e condizionando in maniera negativa quelle che potrebbero essere le scelte del pubblico attuale. Ci sarà un'autoeliminazione e mi auguro, per quanto non ci creda, che avvenga quanto prima questa regolamentazione della quale da molto tempo si sta parlando. Il fenomeno « radio libere » è stato inteso dagli italiani come soltanto loro potevano intenderlo, vale a dire con un senso della libertà che non è tale, bensì licenza.
La regolamentazione dovrebbe quindi essere basata anche sul livello qualitativo dei programmi trasmessi, però questo è impossibile stabilirlo.È possibile stabilirlo, invece. Charlie Chaplin, che ha fatto cinema per tutta la sua vita, ha detto « io non so cosa il pubblico voglia esattamente. Il fatto di essere seguiti da una fetta di pubblico non significa assolutamente che sia quella la cosa giusta che devi dire alla gente ».