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[DISCUSSIONE] RADIO LOMBARDIA

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view post Posted on 20/7/2016, 10:37
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[1975] FREE RADIO MILANO

Dalle parti di Porta Volta, una soffitta che gli stessi interessati chiamano « la topaia ». Responsabile di « Free Radio » è Riccardo Rompani, studente in medicina.

« Il nostro scopo è fare programmi diversi dalla RAI - dice -. Siamo giovani e vogliamo fare un discorso nuovo ai giovani e ai meno giovani. Al momento i nostri mezzi non ci permettono di coprire tutta Milano. I nostri programmi sono impostati essenzialmente sulla musica: un'ora per ciascun tipo di musica. Ma non deve essere di tipo commerciale, cosi come non deve essere comprensibile solo agli iniziati. Questi programmi (i dischi li abbiamo prima noi che la stessa RAI) vengono intervallati da notizie locali e da critiche teatrali e cinematografiche.

Siamo nati dal niente, il 50 per cento delle 25 persone che lavorano a "Free Radio" è composto da universitari, l'altro 50 per cento da studenti di scuole medie superiori. Abbiamo "elemosinato" in famiglia, dagli amici, dai conoscenti, anche le tremila lire per arrivare ad acquistare il materiale necessario. Ce la siamo cavata con poco più di un milione e mezzo. Per ora non facciamo pubblicità, ma quando copriremo tutta la città l'accetteremo ben volentieri. Quanti ascoltatori abbiamo? E' un calcolo per ora impossibile ».
 
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view post Posted on 1/3/2017, 11:49
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[1982] RADIO POPOLARE MILANO

Radio Popolare di Milano, una cooperativa con oltre diecimila soci, progettata e fondata da Piero Scaramucci (giornalista della Rai) nel 1976, rimane di queste radio il riferimento principale. Anche perché/seppur faticosamente, è riuscita a superare lo sbandamento dovuto al crollo del movimento assumendo un ruolo di informazione molto preciso e del tutto particolare che dura tuttora. È insomma uno dei rarissimi esempi di altra comunicazione che riesce a sopravvivere e addirittura ad ingrandirsi, puntando su un pubblico preciso (’’quelli di sinistra”) destinato a diventare sempre più vario.

Nel vecchio caseggiato occupato da Radio Popolare, dove lavorano trenta persone regolarmente retribuite e altrettanti collaboratori, si respira un’aria particolare. È una sorta di frenesia collettiva: redattori che corrono su e giù per le scale (lo stabile si distribuisce su tre piani) brandendo foglietti, cassette e magnetofoni; tecnici e giornalisti che si incontrano ad ascoltare e riascoltare registrazioni e servizi in "punti d’ascolto” (registratore, cuffia e telefono) disseminati un po’ dappertutto, voci concitate che si urlano brevemente ordini e direttive, il tutto mixato con gli incessanti squilli del telefono e il ticchettio delle macchine da scrivere e delle telescriventi. Insomma, una redazione "vera”. Fatta, però, anche dalle migliaia di ascoltatori che telefonano, intervistano e collaborano.
 
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view post Posted on 7/3/2017, 17:10
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[1982] RADIO CITTA' - MILANO

Un’altra radio di Milano che si sta impegnando seriamente in un ambito giornalistico è Radio Città, che con la sua seconda frequenza Radio Città 2 privilegia un discorso culturale e informativo.

"Noi tentiamo di operare e di incidere sul tessuto cittadino - spiega Marco Garofalo, il direttore editoriale - ma le opinioni raccolte le vogliamo organizzare noi. Conosciamo questo mezzo di comunicazione e ci sentiamo in dovere, oltre che in diritto, di mettere a disposizione questa professionalità per rendere al meglio le informazioni affidateci. È molto meglio per tutti una buona sintesi radiofonica che la lettura di un comunicato. Vogliamo essere una radio con una personalità, non camuffata dalla demagogia del microfono aperto. Questa sindrome da cornetta rende i redattori della radio quasi degli ostaggi in mano ad un pubblico che spesso, non sapendo usare il mezzo, se ne impossessa in maniera scriteriata e inutile.

Manteniamo col nostro pubblico un rapporto più diretto rispetto a quello degli altri mass-media, ma non deleghiamo a nessuno il nostro compito di fare informazione”.

"Anno primo, numero 22, 10 marzo 1982, sono le undici e 16 minuti esatti. C’è il sole... A quanto pare, almeno fino ad ora, non è la fine del mondo. E questo è un fatto. Ognuno è libero di considerarlo un bene o un male, ma è un fatto. L’ipotesi che il mondo potesse finire era stata avanzata nel 1974, quando un libro...”

Il ventiduesimo numero di "Milano Città” è iniziato così, con tono colloquiale, introducendo la notizia del giorno. Ad essa ne sono seguite altre e tra l’una e l’altra sono stati trasmessi alcuni servizi, qualche informazione culturale, rarissimi stacchi musicali. Il tutto per la durata di un’ora esatta.

"Milano Città” è un vero e proprio quotidiano radiofonico: viene trasmesso ogni settimana dalle 11,15 alle 12,15 dal lunedì al venerdì, dai 98 megahertz di Radio Città 2 di Milano. Vi lavorano otto redattori che confezionano per ogni numero dai sei ai dieci servizi giornalistici, più le notizie del giorno. La linea editoriale è rigorosamente orientata sul "locale": Milano è ancora Milano, più l’hinterland naturalmente, senza dimenticare talvolta gli avvenimenti esterni che possono avere una qualche influenza sulla città.

A coordinarlo è Giampiero Dell’Acqua, giornalista di lunga esperienza, noto tra l’altro per aver curato direttamente le pagine milanesi di ”La Repubblica". Approdato a Radio Città dopo una breve esperienza a TRM 2, una televisione privata milanese, ha inventato questa che è una testata giornalistica in piena regola. Esiste una sorta di "menabò” all’interno del quale sono disposti gli spazi occupati da interviste, inchieste, notizie, novità della cultura e dello spettacolo milanesi; ci sono: personaggi di Milano, i suoi artigiani e i suoi negozi, le iniziative commerciali, i dibattiti e le conferenze.

’’Milano Città” ha parlato per esempio delle multe affibbiate ai milanesi e della mancata ’prima’ dell'Anna Bolena alla Scala,
delle botte in famiglia e del nuovo film di Maurizio Nichetti, degli scrittori milanesi e dei giovani leader (ovvero i ragazzi più ammirati dei licei milanesi). Come ogni quotidiano che si rispetti ha un supplemento, al venerdì, con le indicazioni per il fine settimana: musei, mostre, itinerari, gite, ristoranti. E al sabato mattina il quotidiano diventa un settimanale, che dalle 9 alle 12 presenta con una veste diversa per un pubblico diverso e quindi più orientata all’intrattenimento, il meglio dei servizi trasmessi durante la settimana.

Un professionista della carta stampata decide quindi di esplorare la radio. Non è una conoscenza epidermica, fatta magari di una trasmissione alla settimana, ma è un coinvolgimento pieno. Cosa significa? "Significa che sto imparando a usare la radio - risponde Giampiero Dell’Acqua -Non è difficilissimo, forse ciò che mi manca di più è la verifica diretta di ciò che faccio, la possibilità di intervento su qualcosa che sia scritto, e non parlato.

Ma in questa situazione viene ugualmente valorizzata la parola scritta (lo scrivo ancora, eccome), che deve essere poi letta. Negli ultimi dieci anni di giornalismo mi sono fatto un’idea precisa di una serie di parole che non si usano colloquialmente e che i giornalisti continuano a utilizzare, lo ora posso al contrario tentare di rivalutare alcuni modi di dire che sono propri del linguaggio parlato. Un. linguaggio essenziale, immediato, che punta al concreto così come concrete sono le persone che ascoltano e che fanno parte di un pubblico che dobbiamo crearci giorno dopo giorno. È anche per questo che proponiamo una serie di servizi di breve durata, che col tempo aumenteranno di numero proprio per toccare gli interessi di tutti gli ascoltatori”. Nella radio si dichiarano tutti più che soddisfatti di questo esperimento. ’’Prima eravamo bravi e volonterosi, ma sempre dei cani sciolti” confessa Michela Raffaelli, una redattrice. ’’Commettevamo puntualmente l’errore di trascurare il locale per privilegiare altri avvenimenti”.
 
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view post Posted on 8/3/2017, 15:38
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[1982] RADIO POPOLARE DI MILANO

Biagio Longo, il direttore di Radio Popolare di Milano, racconta questa esperienza.

« In redazione siamo in una quindicina, più collaboratori e corrispondenti sparsi un po' ovunque, anche all’estero. Il nostro lavoro rimane ancora e soprattutto militanza: ognuno di noi potrebbe trovare altrove un lavoro meglio remunerato, visto che qui il compenso fisso varia tra le quattro-cento e le cinquecentomila lire al mese. Ma personalmente mi interessa moltissimo rimanere in un esperienza di questo genere e in un settore politicamente strategico come quello dell'informazione. All inizio eravamo un po' tutti giornalisti, quello che ci interessava era il discorso' fatto a tutti i costi, puntavamo tutto sull’informazione. Poi abbiamo scoperto che fare buona informazione in una radio, che è solo un rumore indistinto sulla scala delle frequenze, è semplicemente inutile. E che se volevamo sopravvivere dovevamo darci una struttura che non fosse quella giornalistica. C’è stato allora il passaggio più sofferto, quando le opportunità di lavoro non sempre corrispondevano alle vocazioni. Uno veniva qui per fare una trasmissione musicale e gli toccava fare il ragioniere, io sono entrato per fare un certo tipo di giornalismo e mi trovo a fare il direttore, slegato da un discorso di produzione immediata. Prima tutti vivevamo in funzione di una trasmissione, di una produzione in diretta, guai a non farla, si potevano creare anche dei problemi.

Il nostro giornalismo? Funzioniamo come una normale testata giornalistica, con redattori stabili per i vari settori: cronaca nera, giudiziaria, spettacolo e così via. Con collaboratori e informatori copriamo i punti di riferimento tradizionali (questura, ospedali, scuole) e quelli più "nostri", le fabbriche e le scuole. È una miscela di informazione verticale e orizzontale delle fonti giornalistiche, mai completamente verificabili: se apprendi una notizia spesso è perché te la vogliono far arrivare. Diamo moltissimo spazio all'autogestione pur sapendo il prezzo che paghiamo, quello della qualità, su cui a volte non è possibile intervenire. Tentiamo di mettere in comunicazione i diversi soggetti e oggetti della comunicazione, con risultati a "La Repubblica ", non si ha modo di sapere immediatamente come reagisce il delegato sindacale, né si sa cosa pensa l’altra gente, o gli operai non iscritti al sindacato, di questo flusso di comunicazioni tra il vertice e la base. Noi riusciamo contemporaneamente ad avere Lama ai telefono, i delegati in studio e a far intervenire al telefono anche quella gente che del sindacato non ha mai voluto saperne.

Chi ci ha insegnato a fare del giornalismo radiofonico? Scaramucci ha avuto un ruolo importante nel formare la nostra sensibilità giornalistica. La pulizia del linguaggio, il concetto di informazione come ricerca e non come usurpazione nei confronti dei tele-radio ascoltatori, il linguaggio che può essere politico ma che deve essere semplice al tempo stesso. E poi la nostra esperienza, i riscontri che abbiamo quotidianamente: una professionalità che cerchiamo di trasferire con i corsi di giornalismo radiofonico che organizziamo. Con il ritmo folle che teniamo è una buona occasione per fermarci e riflettere su ciò che facciamo e con il fatto di avere un rapporto dialettico con i nostri "allievi" possiamo anche verificare il nostro lavoro ».
 
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33 replies since 24/2/2006, 20:31   3100 views
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