CORREVA L'ANNO 1975:
L'ADDIO DI CAROSELLOUn Calindri con seltz e ghiaccio per favore. « Come? », fa la cassiera del bar. Poi l'avventore ci pensa un attimo e... « Pardon! Un Cynar con... » eccetera. Un lapsus che, scombinata com'è la formula narrativa di Carosello, avrebbe potuto benissimo ripetersi più d'una volta; infatti, non s'è mai capito bene se è stato Calindri a pubblicizzare Cynar, o Cynar a pubblicizzare Calindri. Dico di un attore e di un prodotto, come potrei dire di tanti " altri. Una battuta, un paradosso, quello che vi pare... Un esempio fra mille, purtroppo. Perché quello che ci si ricorda di Carosello è proprio quella lunghissima parte iniziale, cosiddetta di « spettacolo », che in teoria dovrebbe servire solo come introduzione al comunicato pubblicitario vero e proprio; quest'ultimo, invece, è relegato in uno striminzito pugno di secondi, durante i quali lo speaker deve dire tante di quelle cose che non se ne riesce a capire una; con il risultato che lo spettatore coglie a malapena il nome del prodotto, quasi mai le sue caratteristiche, e mai, perché non ha il tempo di farlo, riesce a riflettere se vale la pena comprarlo o no. In altre parole, la parte veramente pubblicitaria di Carosello sembra pensata apposta per far da ponte, in attesa del prossimo spettacolino che come quello precedente proporrà le gesta dell'attore famoso, scenette di una beata superficialità, situazioni che dalle prime inquadrature trasudano benessere, allegria, e soprattutto rassicurano sulla certezza di un « lieto fine »; ed è in questo che migliaia di famiglie italiane amano riconoscersi. Altrimenti non si spiegherebbe come Carosello sia riuscito a scandirne quasi un ritmo di vita, l'ora esatta in cui fare certe cose, in cui sentirne altre; alla sua sigla, suona il rintocco del tradizionale inebetimento serale con il naso anchilosato davanti al teleschermo, tutti zitti per vedere e ascoltare cose che alla fine tutti giudicano stupide, ma che la sera dopo tutti non possono fare a meno di rivedere con la scusa: « Stiamo a guardare se stavolta c'è qualcosa di meglio ». Vien quasi l'idea che Carosello, la TV l'abbia usato come bandierina di partenza per le sue trasmissioni serali; ma le bandiere, grandi o piccole, di partenza o no, contengono sempre dei simboli e sono sempre simbolo di qualcosa; e se Carosello è stato per vent'anni il simbolo dei programmi TV... allora si può capire come e durante una discussione (si fa per dire) da bar, o da salotto, c'è qualcuno che non sapendo più come cavarsela sentenzia: « L'ha detto la televisione ». In realtà, pur sembrando il principe della storia della pubblicità italiana, Carosello appartiene più alla storia del costume; non vederlo, è come un appuntamento mancato, come non vedere puntualmente, quando c'era, Lascia o raddoppia? Mancare a questi appuntamenti per molti ha il senso di « essere lasciati da parte » da quell'insostituibile fenomeno che è il processo di costruzione e distruzione di riti e di miti, della cui nascita, vita e morte, ciascuno vuol sentirsi partecipe: dal momento del coito a quello della sepoltura. Ma ora che Carosello forse non si farà davvero più, cosa succederà in quelle famiglie che non sentendo la sua sigla non riusciranno a capire a che ora guardare la televisione? E nella pubblicità? Perché Carosello è stato sì un fenomeno di costume, ma con una partenza pubblicitaria; e il pubblico lo vede ufficialmente come pubblicità. Quando una storia finisce, e quella di Carosello pare proprio che stia per finire, è naturale chiedersi cosa ci sarà dopo.
L'ho chiesto a un addetto ai lavori: Eddy Strazzabosco, vicedirettore generale della Ted Bates Italia, una delle più note agenzie americane di pubblicità operanti da noi.
« Non succederà proprio nulla », mi dice Strazzabosco. « I bambini italiani andranno a letto come i bambini di tutti gli altri paesi del mondo. Anzi, dormiranno sonni più sereni e diventeranno più presto maturi e adulti; senza sorbirsi una trasmissione che può essere indubbiamente considerata come la più stupida rubrica che un ente televisivo statale abbia mai messo in onda ».
« Eppure, Carosello ha fatto girare miliardi; a qualcuno questo affare deve pur essere interessato ».
« Dimentichiamoci gli interessi dei singoli; cerchiamo di far mente locale a questa trasmissione che ormai accettiamo passivamente come .una coda all'ufficio postale. Carosello è veramente una trasmissione di preoccupante stupidità ».
« Sono parole grosse ».
« Lo so », continua Strazzabosco, « ma sono anche parole vere. I film di violenza, e quelli di particolare indecenza, sono vietati ai minori di anni X, perché potrebbero influenzare negativamente le loro personalità non ancora completamente formate. Ma Carosello è altrettanto pericoloso perché ritarda la maturità di un individuo. Cosa vediamo da oltre vent'anni in questa rubrica tanto sopportata? Famiglie che corrono sorridenti nei parchi, cavalli bianchi che attraversano praterie (sempre lo stesso cavallo per anni di prateria), cartoni animati che strappano sbadigli. Carosello non serve a vendere il prodotto. I tecnici della comunicazione lo sanno. Le vendite di pasta-bevande-saponette - detersivi-benzine-orologi-vestiti-eccetera non caleranno d'una lira quando Carosello non ci sarà più; perché Carosello, con le sue 3600 puntate (3600 storielline demenziali), è servito soprattutto a sviare l'attenzione dello spettatore da quella che dovrebbe invece essere una pubblicità informativa.
« Eppure, quando la pubblicità è ben fatta, senza inutili banalità, non è sgradita allo spettatore nemmeno in televisione. Ed è proprio per questo che secondo me, se qualche alto papavero pensa che agli italiani si debba ancora propinare Carosello, lo fa sicuramente convinto di interpretare i desideri della maggioranza. Allora è necessario che qualcuno insegni al nostro ente televisivo a fare delle ricerche di mercato. Ricerche vere, non quelle fatte a tavolino, ove risulta che tutti i programmi sono stupendi, graditissimi, insuperabili, una vera orgia di piacere per il telespettatore ».
« E se qualcuno volesse tentare la salvezza di Carosello? ».
« Allora, questo qualcuno è convinto che si tratti di uno spettacolo adatto al livello mentale dell'italiano. Ma questo sarebbe offensivo per tutti noi. Sicuramente, nello Zambia una trasmissione simile incontrerebbe molte resistenze a essere accettata. E se non si sapesse come sostituire Carosello, si lasci il vuoto assoluto, si mandi in onda per 300 secondi il segnale del I canale. Qualcuno ne approfitterà per regolare il televisore, altri scambieranno quattro parole con la famiglia ».
E altri, dico io, molto meno ottimisticamente di Eddy Strazzabosco, troveranno qualcosa da produrre per riempire quei 300 secondi che non possono rimanere vuoti; la morte di Carosello non manda certo a gambe all'aria l'economia italiana (a parte il fatto che c'è già). Ma i produttori cinematografici che hanno messo le mani nella «réclame» hanno succhiato un bel po' di quattrini da Carosello; e nel caso non ci fosse davvero più, prevedono una diminuzione annua del proprio bilancio che è nell'ordine del 50 per cento circa. Credo proprio che saranno loro e chi li finanzia a trovare il modo di riempire quel tempo lasciato libero da Carosello. E si torna alla storia del costume. Una storia triste, che riletta fa pena. Chiunque voglia scriverla non può farlo senza scandirla a ritmo di ventennio. Quello di Carosello cominciò pochi anni dopo che un altro ventennio moriva; quasi un destino, un presagio. Ma quell'intervallo servì giusto all'Italia per mostrare al mondo una faccia ridanciana e festaiola come se tutto fosse andato bene da sempre; e in realtà, per qualcuno tutto era andato bene da sempre. Per esempio, per quegli stessi che inventarono Carosello: « un modo italiano di guardare la TV ». Bastarono poche stupide note del festival di Sanremo, le vittorie di Bartali e Coppi, la patetica storia di Nilla Pizzi diventata di colpo « regina della canzone », per confondere con un po' di violini e un po' di strumenti arrivati freschi freschi dall'America nei pacchi del piano Marshall i colpi che i poliziotti di Sceiba sparavano sugli operai di Modena e di Reggio Emilia in sciopero.
Carosello nacque lì, ed ebbe una brutta culla. Nello spasmodico bisogno di convincere la gente a spendere e comprare (a parte che ci sia riuscito o meno, qualcuno ci ha guadagnato). Ma l'altro ventennio, quello nero, lasciò davvero dei morti per strada, e tanti; di quelli su cui si piange. E insieme a essi, lasciò un'Italia da rifare o da « dover rifare ».
Mentre se non si rifarà l'Italia di Carosello, sui suoi morti di cartapesta a piangere ci saranno solo le mamme che non sapranno più a che ora mettere a letto i bambini. [articolo pubblicato nel 1975 su un noto magazine mensile della casa editrice Rizzoli, a firma di Roberto Pallavicini]