| [1977][REPORTAGE] Per la televisione pubblica italiana "RAI":
SCOMMETTIAMO
Siamo al « fieradue », uno degli studi TV sorti nell’arca della Fiera di Milano. Il « fieradue » è il tempio di Scommettiamo? , come lo fu del Rischiatutto. «Logorio?», dice Mike Bongiorno, 53 anni a maggio, « il quiz non si logorerà mai perché è il pubblico che si rinnova. Da una parte ci sono i giovani che ogni cinque, dieci anni entrano nel giro, diciamo cosi, dei maggiorenni e hanno voglia di cimentarsi; dall’altra ci sono quegli spettatori che col passare degli anni restano legati ai gusti del loro passato e hanno piacere di rivedere un quiz, appunto, perché ne godevano ieri ». Non bastasse questa ragione, Mike ne ha teorizzate altre due almeno. « L’attrazione irresistibile del gioco. Chiunque, intelligente o cretino, colto o somaro, che stia giocando a biliardo o stia seduto in poltrona, anche se segue distrattamente la trasmissione, quando parte la domanda, nel suo io è portato istintivamente a rispondere. E sempre prima che suoni la campana del tempo scaduto. Poi c’è la inattaccabile priorità del quiz. Il quiz, se non il primo assoluto, è uno dei primissimi tipi di spettacolo nati per la TV, è anzi uno spettacolo eminentemente televisivo. Dunque, come può morire? ».
Certo, per carità, riconosce che non è un fatto culturale: « So benissimo che il quiz è accusato di nozionismo; verissimo, ma io sono convinto che esso è uno strumento di stimolo culturale ».
Ma se il quiz, pur nella varietà delle formule o nella bontà delle nuove trovate, sostanzialmente non è cambiato, forse è cambiato lui, che molti invece giudicano immutabile.
« Non “ forse ", sicuramente sono cambiato io. Oggi ho acquistato più sicurezza. All'inizio della mia carriera ero timido, mi sentivo perso, anche perché il genere di spettacolo che proponevo non è che fosse ben visto, direi anzi che nei confronti del quiz l'ostilità era piuttosto diffusa. Ogni parola che dicevo era pesata, criticata, perché hai detto questo, perché hai detto quest'altro... Non parliamo poi delle gaffes... ero un candido, venivo da un Paese diverso... ». « Scusi, Bongiorno, ma Mike presenta li cavallino della sigla di « Scommettiamo? »: gli somiglia parecchio, non a caso si chiama Michele. Con il nuovo quiz Bongiorno ha voluto portare sul teleschermi una sua vecchia passione, quella per l’ippica se c’è una cosa che anche i denigratori le riconoscono è proprio questa sua capacità di saper trarre vantaggio anche dalle gaffes, nel senso che il clamore che provocano in fondo si risolve in pubblicità per il programma di cui lei è protagonista... ».
Si toglie gli occhiali affumicati e scoppia a ridere.
« Lo so, lo hanno scritto spesso: Mike fa apposta le gaffes per fare spettacolo. No. non ho mai organizzato una gaffe prima, mai. Le ho sfruttate quando sono capitate, questo sì, e oggi so sfruttarle meglio. Vede, in America, dove un presentatore non si improvvisa, dove chi conduce un quiz deve aver imparato in precedenza tutto quello che attiene a una trasmissione televisiva, dallo scrivere i cartelli al montaggio, mi hanno insegnato che quando si commette un errore non bisogna mai balbettarci sopra, perché due sono i casi. 0 la gaffe è buffa e allora fa ridere, tu presentatore fai il finto tonto, ci giochi; oppure la gaffe è clamorosa e allora il clamore serve al telequiz. Ma c’è un’altra cosa che rientra in qualche modo in questo discorso: l’orgoglio del difetto. Ai tempi di Lascia o raddoppia?, proprio all’esordio, io non portavo gli occhiali perché i tecnici di allora dicevano che gli occhiali in televisione “ sparano Io, naturalmente, senza occhiali, non ci vedevo bene. Mi scrivevo le domande a caratteri grossi così su dei cartelli che mi mostravano da dietro le quinte. Una volta un fotografo si accorse del trucchetto e il giorno dopo il “ retroscena ” fece scalpore. Allora io la settimana dopo andai in trasmissione con gli occhiali, un paio di occhiali enormi, a marcare volutamente il mio difetto di vista. Insomma, ingigantii la mia menomazione. E secondo me l’orgoglio del difetto ti aiuta a vincere i complessi che ne derivano ».
Un Mike Bongiorno che sa ironizzare su se stesso non me lo sarei aspettato. « Sì, so anche questo, vengo accusato di essere un robot, di non avere senso dell'umori-smo. Sarà che a volte, travolto dall’importanza della cosa che sto facendo, non ho il tempo di ridere su una frecciata ironica, su una battuta che mi tocca. Forse non sono dotato della necessaria prontezza, forse sono abituato ad un umorismo più americano, mentre qui va di più la punzecchiatura talvolta cattiva, non lo so, ma non è vero che io sia privo del tutto di senso dell’umorismo, me lo lasci dire ».
E se fosse rimasto sostanzialmente un timido?
« Me lo chiedo anch’io. Però oggi mi difendo meglio, più facilmente di vent'anni fa. Allora avevo il coraggio dei timidi, oggi ho l'esperienza, perciò dico che so sfruttare meglio anche le gaffes. Io sono un preparato impreparato... »
Nel senso?
« Nel senso che so dove voglio arrivare ma non so mai come ci arriverò. Se lo sapessi diventerei falso e il pubblico se ne accorgerebbe. Io credo nel mio lavoro, ci credo davvero e di una trasmissione curo tutti i dettagli. Forse questa è la ragione... ». Del mio successo, vorrebbe dire. Ma non lo dice. « E se avessi superato la timidezza totalmente forse non farei più questo mestiere. Mi sentirei troppo spavaldo e la spavalderia non paga. Perché la gente si accorge se il discorso che fai con gli occhi non corrisponde alle parole che dici ».
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